mercoledì 13 febbraio 2013

L'umano che irrompe


La rinuncia all’esercizio del ministero petrino da parte di Benedetto XVI ha bisogno di ben più di un paio di giorni per essere com-presa, per essere presa con sé. Appartiene a quel genere di eventi che chiedono tempi di perlustrazione dilatati, decantazioni lente. È questione che chiede di entrare in un dramma, perché ne è il precipitato.
Ed entrare in un dramma non equivale né autorizza a scandagliare l’animo di colui cui appartiene, ma il nostro. E proprio per questo rimando inevitabilmente personale, si preferisce stare alla larga dal centro della scena, preferendo piuttosto smarrirsi in angoli periferici, del tutto secondari e perciò innocui, lontani dal proprio dramma personale.
Così si preferisce la dietrologia al dato enorme di un dramma umano e spirituale. Non mi interessano gli intrighi di palazzo, vedo che non possono essere lontanamente sufficienti a sostenere una decisione di questo genere. Neppure il decadere delle forze basta, quasi che il prenderne atto produca da sé solo quella rinuncia che ancora risuona ai nostri orecchi attoniti.
Penso alle fatiche e sofferenze che hanno aperto una domanda, hanno dato accesso a una possibilità, quella estrema che sappiamo esserci ma sappiamo anche non voler prendere mai in considerazione.
Penso a cosa sia stato il vissuto di quest’uomo anziano che contemporaneamente vive la sofferenza e la fatica per un ministero insostenibile, il travaglio di una sua elaborazione, il fattivo e oneroso esercizio del ministero stesso.
Penso alla solitudine inevitabile nella quale si affacciano e maturano le decisioni più grandi, quelle che attingono a radici e ragioni che sono chiare solo a colui cui appartengono, che rimangono in-spiegabili a chiunque altro, intuibili solo da chi – a modo suo e per ragioni sue – ha dovuto attraversare qualcosa di analogo – per quanto non possa esistere analogia alcuna e nessuno possa dire “ti capisco”.
Penso alla solitudine sconosciuta che attende l’inedito di un tempo da “ex”, “già”, “emerito”.  
Penso a quale onestà intellettuale e quale caratura spirituale occorrano per non contrabbandare il rimanere con la fedeltà: costa molto meno continuare che rinunciare, è noto.
Quando penso a tutto questo provo solo ammirazione, intuisco di venir fatto parte di un terreno intimo e personale, sento il fremito che è solo dell’umano quando irrompe.
È il sussulto dell’umano che rimane irriducibile a ogni ruolo, che sgretola i miti che di continuo ci costruiamo (con le vita altrui), che non teme di smentire e irridere – mostrando il suo volto – quella ridicola sete di ridicoli eroi che attraversa ogni tempo e ogni istituzione.
Questo umano che esiste fin dalla fondazione del mondo e che in questa rinuncia irrompe con genuinità è proprio una bella notizia, proprio un Vangelo.