domenica 18 novembre 2012

Attendere


Attendo. Non importa il cosa. Importa la tensione ad altro.
Attendere è prepararsi a ricevere, è disporsi ad accogliere quel che la vita dona.
Ciascuno la propria.
E disporsi a riconoscere in esso il meglio per noi.
Senza cercare in altri quel che a tutti viene dato in sana misura e giusto tempo.
Attendere non ha nulla a che fare con il sostare passivi, magari con rassegnazione o rabbiosa impotenza. No,proprio no.
Attendere è tornare a fidarsi del buono che la vita – quella di ciascuno – per ciascuno prepara e dispensa.
È la frenesia a chiamare lentezza la distanza tra la vita e la giostra dei desideri. Non di lentezza si tratta, ma del suo ritmo, reale, forte, vitale.
Attendere è appello al reale più reale, al concreto più concreto, da accogliere come dono, non da recepire come dato.
Attendere dispone a rinnovare quella fiducia basica verso noi stessi, verso la pasta buona con la quale siamo plasmati; come invito a smettere – almeno per un poco – di essere in guerra contro noi stessi per dedicarci a interessi più proficui, a sospettare nei moti del più profondo di noi a favore di parole sguaiate e rassicuranti che ci si scambia.
Attendere ci porta al buono originario che è in noi, ci riporta il nostro buon profumo, e quella terra buona e feconda di cui prenderci cura.