A volte
penso al giro dell’oca.
Un gioco
semplice e innocuo che ha la capacità di distorcere fin da bambini la
percezione del reale.
Forse
perché mi pare di stare dentro questa spirale che ora finalmente considero
falsa.
Un
cammino non lineare, ma a spirale appunto, dove a parità di casella capita di
stare a fianco di chi è avanti un giro, due giri.
Già, chi
è avanti e chi è indietro, chi va avanti e chi è rimandato indietro.
Il gioco
– è noto – si conclude quando il primo entra nell’ultima casella, dopo quella
danza avanti e indietro, dentro e fuori negli ultimi numeri che a tutti un po’
è toccata.
Ora so
che quello del giro dell’oca è una tentazione, di cui peraltro vive il mondo.
Quella di
poter misurare chi sta avanti e chi indietro, chi è riuscito nella sua vita e
chi no.
Mi torna
alla mente una pagina di Bobin:
“Cammina.
Senza sosta cammina. Va qua e poi là. Trascorre la propria vita su circa
sessanta chilometri di lunghezza, trenta di larghezza. E cammina. Senza sosta.
Si direbbe che il riposo gli è vietato (…).
Se ne
va a capo scoperto. La morte, il vento, l’ingiuria: tutto riceve in faccia,
senza mai rallentare il passo. Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla
rispetto a ciò che egli spera. Che la morte è nulla più di un vento di sabbia.
Che vivere è come il suo cammino: senza fine.
L’umano
è chi va così, a capo scoperto, nella ricerca mai interrotta di chi è più
grande”.
(C.
Bobin, L’uomo che cammina, Qiqajon Bose)
Avessero inventato un gioco che misura i passi
invece dei risultati, che uomini saremmo?