Ci vorranno
secoli per vedere e dire ciò che accade in questa notte.
Una
lunghissima gestazione, perché quel che sarà detto sia vero.
Tra
alcuni secoli, tornando da un’altra schiavitù, apparirà luminoso ciò che oggi è
per noi massimamente oscuro.
Allora si
parlerà di questa notte come di una liberazione al ritmo di una marcia
trionfale; la ricorderanno come punto alfa, la saluteranno con onore come il capostipite
da cui tutto ha preso inizio.
Allora,
non oggi.
Oggi non
è tempo di parola ma di marcia, notturna e di urgenza, di fretta, di
concitazione.
Il popolo portò con sé la pasta prima che fosse lievitata,
recando sulle spalle le madie avvolte nei mantelli. (…) Fecero cuocere la pasta
che avevano portato dall’Egitto in forma di focacce azzime, perché non era
lievitata: infatti erano stati scacciati dall’Egitto e non avevano potuto
indugiare; neppure si erano procurati provviste per il viaggio (Es 12,34.39).
Viene il
tempo in cui l’ordinario è sconvolto da qualcosa che urge, qualcosa di altro,
sconosciuto e irresistibile.
È spinta
irrefrenabile e ha la forza di sfidare il più potente della terra.
Tanto è
grande che occorrerà la distanza dei secoli per metterne a fuoco la misura e la
portata.
La forza
che si affranca dal forte è forza-che-libera. Non rovescia il potente per
insediarsi al suo posto con tirannide più violenta e ottusa; lo rovescia
introducendo in una terra in cui se ne possa fare a meno.
“Fare a
meno” è il nome del potere di forza-che-libera
“Fare a
meno” è il nome che più si avvicina a ciò che potrebbe essere libertà.
Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò
contro Mosè e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per
mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola
della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo
deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine» (Es 16,2-3).
Mormorare è sentire acre l’odore della
beffa. E alimentarla.
Dimostrazione
pratica dell’indisponibilità a imparare qualcosa di nuovo, chiusi nel bozzolo
del sicuro déjà vu.
Oggi non
è tempo di parola ma di marcia, di marcia impossibile e obbligata.
Con alle
spalle il mare, che cancella l’orma di ogni passo, e davanti un deserto grande
e spaventoso che nega con ostinazione ogni minimo segnavia, ogni qualsiasi
segno di direzione.
Tra
alcuni secoli parleranno di questa marcia come ora non è dato percepire.
Ne
parleranno per tutti coloro cercheranno il nome alla loro notte.
Oggi
rimane questo andare notturno, in una densissima oscurità che nega la parola e
restituisce al solo vivere, nulla più.
Davanti sta una terra dove scorre latte e miele;
è promessa, ma già l’assaporo nei paesaggi interiori che questo andare mi
regala.