Seduto
nel tram osservo con calma, com’è mia abitudine, i dettagli dei passeggeri che mi
siedono di fronte. I dettagli sono per me cose, voci, lettere. Separo il
vestito della ragazza che è davanti a me dalla stoffa di cui è fatto e dalla
lavorazione che è stata necessaria a cucirlo (poiché lo vedo come vestito e non
come stoffa), e il ricamo leggero che orla il colletto mi si divide nel filo di
seta ritorto con il quale è stato ricamato e nella lavorazione che c’è voluta
per ricamarlo. E immediatamente, come in un libro elementare di economia
politica, si aprono davanti a me le fabbriche e le lavorazioni: la filanda dove
è stato fatto il tessuto; la filanda dove è stato fatto il filo di seta
ritorto, di un tono più scuro, che orla con increspature ricamate la stoffa del
colletto; e vedo le sezioni delle fabbriche,
le macchine, gli operai, le sarte, i miei occhi rivolti all’interno
penetrano negli uffici, vedo i dirigenti che cercano di essere tranquilli,
seguo sui libri la contabilità di ogni cosa; ma non è solo questo: vedo, più in
là, le vite domestiche di coloro che vivono la loro vita di esseri umani in
quelle fabbriche e in quegli uffici…
Il
mondo intero mi si srotola davanti agli occhi soltanto perché ho davanti a me,
sotto un collo bruno che dall’altra parte ha un risvolto che ignoro, un orlo
irregolare-regolare di un verde scuro sopra il verde chiaro di un vestito.
Il
consorzio umano nel suo insieme è
davanti ai miei occhi. Al di là di questo intuisco gli amori, i segreti intimi,
l’anima di tutti coloro che hanno lavorato affinché questa donna che è davanti
a me sul tram porti attorno al suo collo mortale la banalità sinuosa di un filo
di seta ritorto verde scuro sul tessuto di un verde più chiaro.
La
testa mi gira. […] Scendo dal tram esausto e sonnambulo. Ho vissuto tutta la
vita.
(Fernando Pessoa)
Questa lunga (bella) citazione mi ha riportato alla mente non tanto esperienze simili, quanto piuttosto lo smarrimento di quando non riesci a vedere.
RispondiEliminaMi ricordo la sera dell’incontro con i profughi della Libia ospitati nella mia città. Guardavo i loro volti, alcuni tristissimi. Ma dietro i loro sguardi non riuscivo a vedere: che paesaggi hanno visto quegli occhi scuri, che cieli? Di quali profumi sa la loro terra? Quale viaggio li ha portati da noi? E le notti, sulle barche perse nel mare, come sono?
Così mi capita, quando incontro qualcuno che viene da lontano.
Il mio pensiero si perde fino a rincorrere i possibili significati che danno agli eventi della vita. Cosa vuol dire nascere, morire? Cosa vuol dire essere bambini, crescere, sposarsi, invecchiare? Che significato ha la malattia o lo stare bene? Quale il senso del lavoro?
Che altri significati possono essere dati, oltre ai nostri di uomini occidentali (sempre che sappiamo ancora raccontarli)?
Mi accorgo di sapere poco. Ma anche che nello scambio saremmo tutti più ricchi.
Ti rimando "Nei giardini che nessuno sa" di Renato Zero, possiamo intendere quei giardini la vita di ognuno di noi.
RispondiElimina(...) nei giardini che nessuno sa,
quanta vita si trascina qua,
solo acciacchi, piccole anemie.
Siamo niente senza fantasie. (...)
ovvero persone che per più svariati motivi vivono in solitudine con il tempo che inesorabilmente scorre ed anche impossibilitati a muoversi, o ancora peggio a vedere irrealizzati per sempre i propri sogni.
Vedere, ascoltare.
RispondiEliminaHo accompagnato una persona in ospedale.
Una giornata trascorsa nella sala d’attesa. C’era tanta gente, chi per esami, chi per piccoli interventi.
L’attesa si fa lunga sfoglio una rivista, poi comincio a guardarmi in giro.
Incrocio lo sguardo di una giovane signora la quale si accomoda accanto a me.
Incomincia a “taccar bottone”.
Penso, forse anche lei è annoiata dall’attesa.
Le do un po’ corda e lei piano piano mi sciorina tutte le sue ansie e i suoi problemi.....
Ripenso a quell’incontro e mi convinco sempre di più di quanta “solitudine umana” c’è in giro.
Non sempre “sotto il vestito niente” (passatemi l’espressione). C’è tanto vedere !