“Una cosa
mi impressiona dei vangeli in maniera tutta particolare: il silenzio di Cristo
(…). Silenzio di trent’anni avanti la vita pubblica. E anche a vita iniziata,
altri enormi spazi di silenzio. Cosa avrà fatto in questi trent’anni di silenzio?
Come si comportava in casa, e di cosa parlava con sua madre, con uso padre; in
paese con gli amici? E come faceva sul lavoro?
(…) Credo
che si debba pensare molto di più a quello che Gesù non ha detto, pensare a
questo silenzio, per capire tutto il resto. Amare il lungo tempo che ha saputo
tacere (…).
Di contro
non stanno che le nostre parole sfocati, i nostri discorsi inutili e
interminabili; e tutti uguali; questo gran dire, che poi non muta nulla, non
trasforma.
Io penso
che Cristo abbia veramente sofferto di più nel decidersi a parlare che
nell’accettare la passione. Articolare un mistero dentro sillabe; dare un suono
al silenzio; cercare un’immagine per ciò che è al di là di ogni immaginazione:
questa la grande impresa di Gesù. Dire di cose che i cieli stessi non riescono
a contenere; e poi cose così delicate, e segrete… Sì, la più grande fatica del
Signore deve trovarsi nell’essere stato costretto a parlare! Precisamente: cosa
faceva in casa, e in bottega? Levigava legni o parole? Quanto avrà parlato con
sua madre? E on Giuseppe, altro taciturno? Strano: i protagonisti sono per lo
più in silenzio. Contrariamente a noi, infaticabili tessitori di ragnatele…!
(D.M.
Turoldo, Anche dio è infelice)