sabato 28 aprile 2012

Bio-ritmo

Dalla finestra di casa vedo transitare un ragazzo in ampi pantaloni a righe, torso nudo, infradito e rasta, e  accanto un altro, in bermuda, canotta e infradito.
È il terzo giorno caldo, del secondo anticipo d'estate.
Il meteo, con quel suo continuo scattare in avanti per poi tornare rapidamente indietro, sembra voler scherzare con il nostro corpo, come una serie di false partenze in una giocata a bandiera stecca, quando da bambini si voleva sfibrare la pazienza degli avversari.
Ma il nostro corpo non è fatto per lasciarsi facilmente ammaliare dall'imprevisto, sia pur piacevole come la temperatura di questi giorni.
Di fronte alla volubilità del meteo, agli eventi della cronaca o ai cambiamenti improvvisi che la vita ci "regala" (scelti o subiti poco importa) rimane un ritmo tutto nostro, diverso e persino estraneo ai tempi con i quali siamo soliti scandire il vivere.
C'è un ritmo della vita, della vita nostra, di cui l'agenda degli impegni non tiene conto, non ce la fa. Un ritmo temuto dalla giostra dei desideri e delle proiezioni, che nulla spartisce con l'ossessione dell'utilità e della produttività.
Un ritmo con le sue accelerazioni e le sue frenate, il suo movimento di dilatazione e quello di contrazione. Sempre diversi, evitandoci di andare d'abitudine.
Sempre diversi, per doverlo ricercare ogni volta daccapo, e ogni volta provare a rispettarlo un po' di più.
Tra alcuni giorni sembra ritorni un po' di brutto tempo, e torneremo ad andar in altalena con le temperature.
E speriamo di poter stare un po' di più tra il battere e il levare del nostro mistero.

giovedì 26 aprile 2012

"Se hai la bocca piena non puoi parlare"

Ai bambini si insegna a non parlare con la bocca piena.
"Se hai la bocca piena non puoi parlare" recita anche un proverbio africano.
In questi mesi la bocca mi si è proprio svuotata, è il caso di dirlo.
È così che ritrovo la parola.
Con la bocca vuota - e il vuoto di tante altre dimensioni essenziali del vivere - ho scoperto una sconosciuta prospettiva del reale, dalla quale guardare quel che accade in me e attorno a me.
Inestimabile è il suo valore, anche se quel che regala sembra non averne.
La bocca vuota, ogni esperienza di vuoto, mi fa attraversare da un fremito di genuina autenticità, ma sento che questo dono nasce già minacciato dalla pesantezza di questioni serie: il lavoro e la professionalità, il futuro, il tempo, le amicizie e gli affetti, i soldi, le paure, la fatica, la solitudine...
C'è una parola in tutto questo, una parola da non lasciar scappare nel suo apparire fugace, una parola da non schiacciare sotto il peso di quel che si impone per gravità come urgente.
Una parola che ha un sapore amico, e vivo, e fragile.
Ai bambini si insegna a non parlare con la bocca piena, eppure da adulti parliamo solo con la bocca piena, piena della nostra esperienza di vita, della nostra posizione professionale, delle nostre sicurezze economiche e affettive, piena delle convinzioni che riteniamo credenti e credute, piena anche di paure e di angosce ma pur sempre piena. E quando per qualche motivo si svuota, subito corriamo a riempirla.
Tra adulti è tutto un correre a mostrare quanto siamo pieni.
La parola sembra doversi prendere in forza del pieno, mai in debolezza del vuoto.
Mi chiedo che ne sarebbe se dovessimo far girare le parole genuine che ciascuno ascolta nel vuoto che vive e incontra. Così avremmo purificato l'aria da quel ristagno di lamentosità che ammorba i giorni.



PS. Ai bambini si insegna anche a dormire da soli e a non aver paura del buio, mentre la maggioranza degli adulti dorme e attraversa il buio in compagnia. Ma questa è tutta un'altra storia.