È morto
nonno Aurelio.
Dice così
l’epigrafe funebre predisposta dai nipoti, anzitutto, dai figli e dai parenti.
Nello
spazio che il Comune ha riservato a questi annunci, quello di nonno Aurelio sta
in compagnia di altri; uno annuncia la morte di un Ing., l’altro quella di un
Dott.
Anche per
questo quello di nonno Aurelio si evidenzia da solo.
Lui solo
un nome, neanche il cognome che sancisce l’appartenenza a una stirpe.
Un nome, ciò
che ben più di un cognome si unisce indissolubilmente con la vita di ciascuno,
e ne accompagna e struttura l’identità.
Ciò che
risuona – e solo può – negli spazi delle relazioni più strette, dove la
familiarità – meglio, la vicinanza e l’intimità – abilitano a pronunciarne i
suoni.
Più del
cognome, che risuona negli ambiti formali e funzionali (non a caso nel lavoro e
nella scuola), dove siamo associati/identificati con un ruolo e un rendimento
(scolastico, economico, lavorativo).
È morto
nonno Aurelio. Nemmeno l'ho conosciuto.
Ognuno ha un nome…
RispondiEliminae il nome acquista sostanza e diventa parte fattiva della persona, come il colore degli occhi, come la forma della bocca.
"Ogni persona ha un nome
datole da Dio
da suo padre e sua madre.
Ogni persona ha un nome
proposto dalla statura, dal sorriso che sfoggia
e da quel che indossa
Ogni persona ha un nome
datole dai monti
e dalle pareti intorno.
Ogni persona ha un nome
pronunciato dalle stelle
e dai vicini.
Ogni persona ha un nome
datole dalle offese
e inflitto dallo struggimento.
Ogni persona ha un nome
assegnatole dai nemici
e dall’amore.
Ogni persona ha un nome
datole dalle feste
e dal suo lavoro.
Ogni persona ha un nome
affidatole dalle stagioni
e dalla cecità.
Ogni persona ha un nome
dato a lei dal mare
e dalla morte."
Zelda Schneersohn Mishkowsky. לכל איש יש שם
A proposito di nomi e di identità, questo testo mi pare molto bello.
RispondiEliminaLa Canzone degli Uomini
Quando una donna, di una certa tribù africana,
sa di essere incinta, si addentra nella selva
con altre donne e insieme pregano e meditano
fin quando appare la “canzone del bimbo”.
Quando il bimbo nasce, la comunità si riunisce
e gli canta la sua canzone.
Ben presto, quando il bimbo comincia ad essere educato,
il popolo si riunisce e gli cantano la sua canzone.
Quando diventa adulto, la gente si riunisce nuovamente e canta.
Quando arriva il momento del suo matrimonio
la persona ascolta la sua canzone.
Finalmente, quando la sua anima sta per andarsene da questo mondo, la famiglia e gli amici gli si avvicinano e, alla maniera di quando nacque, cantano la sua canzone per accompagnarlo nel “viaggio”.
In questa tribù dell’Africa c’è un’altra occasione nella quale gli Uomini cantano la canzone.
Se in alcun momento della vita la persona commette un crimine
o un atto sociale aberrante, lo conducono fino al centro della tribù
e le persone della comunità formano un circolo attorno a lui.
E allora gli cantano la sua canzone.
La tribù riconosce che la correzione di condotte anti-sociali non è il castigo; è l’amore e la memoria della sua vera identità.
Quando riconosciamo la nostra propria canzone
non ci viene voglia ne’ necessità di pregiudicare nessuno.
I tuoi amici conoscono “la tua canzone”
e te la cantano quando la scordi.
Quelli che ti amano non possono essere ingannati
dagli errori che hai commesso
o per i lati oscuri che mostri agli altri.
Loro ti ricordano la tua bellezza quando ti senti brutto;
la tua totalità quando ti senti straziato;
la tua innocenza quando ti senti in colpa
ed i tuoi propositi quando ti senti confuso.
Tolba Phanem (poetessa africana)