lunedì 4 giugno 2012

Nonno Aurelio


È morto nonno Aurelio.
Dice così l’epigrafe funebre predisposta dai nipoti, anzitutto, dai figli e dai parenti.
Nello spazio che il Comune ha riservato a questi annunci, quello di nonno Aurelio sta in compagnia di altri; uno annuncia la morte di un Ing., l’altro quella di un Dott.
Anche per questo quello di nonno Aurelio si evidenzia da solo.
Lui solo un nome, neanche il cognome che sancisce l’appartenenza a una stirpe.
Un nome, ciò che ben più di un cognome si unisce indissolubilmente con la vita di ciascuno, e ne accompagna e struttura l’identità.
Ciò che risuona – e solo può – negli spazi delle relazioni più strette, dove la familiarità – meglio, la vicinanza e l’intimità – abilitano a pronunciarne i suoni.
Più del cognome, che risuona negli ambiti formali e funzionali (non a caso nel lavoro e nella scuola), dove siamo associati/identificati con un ruolo e un rendimento (scolastico, economico, lavorativo).
È morto nonno Aurelio. Nemmeno l'ho conosciuto.

2 commenti:

  1. Ognuno ha un nome…

    e il nome acquista sostanza e diventa parte fattiva della persona, come il colore degli occhi, come la forma della bocca.

    "Ogni persona ha un nome
    datole da Dio
    da suo padre e sua madre.

    Ogni persona ha un nome
    proposto dalla statura, dal sorriso che sfoggia
    e da quel che indossa

    Ogni persona ha un nome
    datole dai monti
    e dalle pareti intorno.

    Ogni persona ha un nome
    pronunciato dalle stelle
    e dai vicini.

    Ogni persona ha un nome
    datole dalle offese
    e inflitto dallo struggimento.

    Ogni persona ha un nome
    assegnatole dai nemici
    e dall’amore.

    Ogni persona ha un nome
    datole dalle feste
    e dal suo lavoro.

    Ogni persona ha un nome
    affidatole dalle stagioni
    e dalla cecità.

    Ogni persona ha un nome
    dato a lei dal mare
    e dalla morte."


    Zelda Schneersohn Mishkowsky. לכל איש יש שם

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  2. A proposito di nomi e di identità, questo testo mi pare molto bello.

    La Canzone degli Uomini

    Quando una donna, di una certa tribù africana,
    sa di essere incinta, si addentra nella selva
    con altre donne e insieme pregano e meditano
    fin quando appare la “canzone del bimbo”.

    Quando il bimbo nasce, la comunità si riunisce
    e gli canta la sua canzone.
    Ben presto, quando il bimbo comincia ad essere educato,
    il popolo si riunisce e gli cantano la sua canzone.
    Quando diventa adulto, la gente si riunisce nuovamente e canta.
    Quando arriva il momento del suo matrimonio
    la persona ascolta la sua canzone.

    Finalmente, quando la sua anima sta per andarsene da questo mondo, la famiglia e gli amici gli si avvicinano e, alla maniera di quando nacque, cantano la sua canzone per accompagnarlo nel “viaggio”.

    In questa tribù dell’Africa c’è un’altra occasione nella quale gli Uomini cantano la canzone.

    Se in alcun momento della vita la persona commette un crimine
    o un atto sociale aberrante, lo conducono fino al centro della tribù
    e le persone della comunità formano un circolo attorno a lui.
    E allora gli cantano la sua canzone.

    La tribù riconosce che la correzione di condotte anti-sociali non è il castigo; è l’amore e la memoria della sua vera identità.

    Quando riconosciamo la nostra propria canzone
    non ci viene voglia ne’ necessità di pregiudicare nessuno.

    I tuoi amici conoscono “la tua canzone”
    e te la cantano quando la scordi.
    Quelli che ti amano non possono essere ingannati
    dagli errori che hai commesso
    o per i lati oscuri che mostri agli altri.
    Loro ti ricordano la tua bellezza quando ti senti brutto;
    la tua totalità quando ti senti straziato;
    la tua innocenza quando ti senti in colpa
    ed i tuoi propositi quando ti senti confuso.

    Tolba Phanem (poetessa africana)

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