“Non
sento la mancanza di quello che ha potuto scrivere [Isaac Babel’]. Mi pesa la
disperazione di un uomo che aveva un pozzo di inchiostro da intingere e gli fu
sigillato con un pezzo di piombo nel cervello”.
È un
passaggio dell’ultimo libro di Erri De Luca, Il torto del soldato.
Un
passaggio fulmineo, come il suo scrivere, fatto di lampi più che di tessitura. Dei
suoi libri a me rimangono solo pochi preziosi dettagli, mai la narrazione
complessiva.
Questa
pagina mi coglie di sorpresa: per scrivere occorre avere inchiostro...
Avrei
detto idee, pensieri, almeno intuizioni. Inchiostro.
Scrivere
è anche questione di inchiostro.
Da giorni
mi fa compagnia questa immagine, che non riesco a indagare per intero; anche
per questo mi affascina.
Un pozzo
di inchiostro da intingere.
Perchè avanza
sempre dell’inchiostro quando ci si mette a scrivere.
La
scrittura stimola ad essere essenziali, possibilmente semplici ma mai banali, a
non sprecare parole, lasciando che in esse si condensi quel che la vita ci ha
insegnato.
Capita di
leggere pagine dotate di questa leggerezza.
Ma capita
ancor più di incontrare uomini e donne che sono parole vere, che portano il
sapore antico e genuino della vita, che hanno conosciuto deserti e paludi, che
hanno da qualche parte un pozzo di inchiostro. Sono le pagine che amo di più.
Un piacere incontrarti quì a quest'ora.
RispondiEliminaUltimamente di sicuro prediligo alla lettura di parole, leggere e lasciare che i miei occhi leggano e si lascino leggere da altri occhi... E' il fluire di un inchiostro dalle infinite sfumature di colore, spessore ed emozioni... E' l'incontro di diversità che proprio perchè tali si nutrono e danno nutrimento nell'eterno desiderio di capire chi siamo.
Mi piace condividere la poesia 'Volti':
"Chi ha steso braccia al largo
battendo le pinne dei piedi
gli occhi assorti nel buio del respiro,
chi si è immerso nel fondo di pupilla
di una cernia intanata
dimenticando l'aria, chi ha legato
all'albero una tela e ha combinato
la rotta e la deriva, chi ha remato
in piedi a legni lunghi: questi sanno
che le acque hanno volti.
E sopra i volti affiorano
burrasche, bonacce, correnti
e il salto dei pesci che sognano il volo."
E' di Erri De Luca
Sono della generazione che per i primi anni di scuola ha scritto con pennino e inchiostro, intinto nel calamaio.
RispondiEliminaQuesto post mi ha evocato la mie prime esperienze con l'inchiostro (...)
Pensando che ognuno di noi ha in sè un pozzo o anche un semplice calamaio dove intingere, mi è sorta una storia vera:
Un bel giorno, attratta da un calamaio pieno d'inchiostro di un bel nero lucido, brillante,
dall'odore acre, ma inebriante,
come irretita ho intinto timidamente il mio pennino, sapendo del rischio di macchiarmi, ma fiduciosa nell'importanza di scrivere qualcosa di molto bello nella mia vita.
Ho scritto, amato,odiato,sognato e pianto,gustato e rifiutato,volato, sperato e creduto; ho scritto e mi sono schizzata e imbrattata le mani.
Ho forse chiesto troppo al calamaio e ora non ho più neanche l'inchiostro, ma le macchie sono ancora qui.
Non se ne andranno più.
Rispetto a prima però non vedo che il mio grembiule sia sporco: solo un po' più vissuto.
Solo questo ora mi consola.
Anche a me ha colpito questa frase del libro. Ricordo che sono tornata indietro più volte a rileggerla: è una di quelle immagini che l'autore riesce a rendere così bene con poche parole.
RispondiEliminaMi piace anche la tua idea, di un pozzo d’inchiostro che ogni storia racchiude.
Sarebbe bello aprire i pozzi d’inchiostro, perché, come acqua, sgorgassero le parole delle nostre esistenze. E tutti ne venissimo arricchiti.
Come si racconta in una storia in cui gli abitanti di un villaggio erano soliti depositare le parole delle loro giornate presso lo stregone che alla sera, al tramonto, le lasciava libere. E quelle parole, “dolci e delicate, dure e inquiete, allegre e tristi, si mescolavano e si rincorrevano, sfiorando le orecchie degli uomini, toccando i loro cuori e salendo fino al cielo, benedette dagli spiriti della notte. Gli uomini, le donne e i bambini ascoltavano, ascoltavano, quasi volessero dissetarsi e sfamarsi con quelle parole, quasi volessero scaldarsi al loro calore e farsi coccolare dal dolce sapore delle storie che esse, tutte insieme, costruivano. Ogni giorno, tutti gli abitanti di quel villaggio aspettavano con grande desiderio il tramonto del sole per godere dell’ascolto delle parole degli altri” (Scataglini, “Lo strano mistero di Cartoonville e altri racconti”).
Sarebbe bello.
Per chi come me ha iniziato a scrivere "ab illo tempore" l'inchiostro era parte vivente dello scrivere.
RispondiEliminaLa cosa più simpatica erano i pennini di varie forme determinanti per certi caratteri, tipo il gotico. Non meno importante era la carta assorbente di vari colori e l'asciuga-pennino (ma che io lo sostituivo con il mio grembiule nero). Insomma tutto un KIT (parola moderna) per scrivere anche in bella calligrafia. Qualche macchia d'inchiostro qua e là potremmo considerarla un"timbro" del
nostro passaggio su quelle pagine bianche.
Successivamente arrivò la penna stilografica di marche anche preziose, se mi è concesso l'aggettivo, in quanto si usava regalare ai bambini di Prima Comunione/Cresima.
Dalla penna biro all'uso del computer il passo è stato veloce.
Oggi la scrittura è abbreviata o superflua in certi casi. Si messaggia: TVB = ti voglio bene, oppure :-) per un sorriso.
Se penso a quanto hanno scritto i grandi letterati, ma più terra-terra uomini/donne semplici lettere d'amore, mah.....
Io non ho conosciuto il pennino né l'inchiostro, solo il buco del calamaio nel banco.
RispondiEliminaLe scuole si stanno attrezzando per salutare i libri di carta in favore della loro versione elettronica. Di certo la schiena ringrazia.
Ne conosco una che a partire dal prossimo anno farà adottare l'iPad ai suoi studenti. Un bello stimolo a ripensare la didattica, un passo inevitabile.
Spero non si perda la capacità di scrivere. E quel senso di identità che i tratti scritti - prima ancora del loro contenuto - ci restituiscono. Anche per chi come me, dopo tanto scrivere, ancora mantiene una pessima grafia. Da custodire gelosamente.