mercoledì 2 maggio 2012

"Come mia mamma"


Collaboro da alcuni mesi a un doposcuola per ragazzi delle medie.
Pardon, delle secondarie di primo grado.
Collaboro. Un modo per dire con un po’ di tono che faccio il volontario.
Mi è capitato di far seguire uno studio di geografia.Capitolo: il sud del continente asiatico, India e Pakistan. 
Leggiamo e riprendiamo, anche per tradurre in italiano l’inutile linguaggio accademico usato dall’autore del libro di testo.
La società indiana è caratterizzata da una forte disomogeneità sociale…
Disomogeneità… Anche solo far ripetere i suoni di questo termine a un ragazzino che è in Italia da un paio d’anni è un’impresa.
Benché la Costituzione Indiana proibisca ogni genere di discriminazione, il tessuto sociale risulta caratterizzato da forti disparità tra gruppi, in riferimento al tradizionale sistema della divisione in caste, con la presenza dei paria (lett. intoccabili).
Mi viene da sorridere: da noi gli intoccabili non sono proprio paria. 
Forza delle latitudini.
Provo a spiegare la condizione dei paria: intoccabile nel senso che nessuno vuol toccare, che tutti evitano. E con un lavoro per nulla pagato, che serve al massimo per mangiare in quella giornata.
E non posso non accennare a una differenza sostanziale: che da noi esiste una uguaglianza sostanziale, di diritto e che ciascuno col suo lavoro può modificare la sua condizione di vita, anche sociale. Mentre in una società divise in caste, dove e come nasci così muori, senza la possibilità che attraverso il lavoro ci si possa costruire il futuro.
Così è la condizione dei paria.
La ragazzina al mio fianco, senza alzare la testa, commenta: “Come mia mamma”.
Vorrei non aver sentito ma non posso lasciar cadere la battuta, soprattutto per la sua valenza personale.
Ci mettiamo a parlare un po’ della mamma, del suo lavoro, e del compito di conduzione della casa che spetta a lei tredicenne. Che rimane in casa più della mamma.
Avrei preferito non sentire e non vedere la realtà di molti oggi, giovani e non, me compreso. La realtà, non – come si vuol far credere – un’infelice congiuntura economica. L’oggi e il domani. Lo capisco benissimo.
Ho smesso di vendere sogni.
In questo sentire tanto le cose che dici, trovo il modo più vero per starti al fianco, cucciola.
La verifica di geografia incalza, riprendiamo il filo del discorso e mettiamo a schema le quattro cose da imparare a memoria per domani (e da domani dimenticare). Che l’India è vicina.

4 commenti:

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  2. preferirei anch'io non sentire e non vedere ma ci sono dentro...sono stanca di paroloni, discorsi e lamentismi...l'unica via mi pare quella di tentare di condividere quel poco o niente che si ha e che si è perché così la strada si fa un po' meno dura, un po' meno buia.

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  3. Cosa significa che hai smesso di vendere sogni?
    Smettere vuole dire che hai terminato di fare qualcosa che sogni vendevi prima e a quale prezzo?

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  4. Leggendo la riflessione di Federico mi è tornato alla mente un film di Tornatore di parecchi anni fa : L'uomo delle stelle.
    Il protagonista con la scusa di fare provini (dietro compenso) per una casa cinematografica illudeva tanti ad un probabile futuro attoriale.E in questa storia ci si ritrovano in molti.
    La mancanza di un lavoro, e diciamolo pure FISSO, la caduta di tanti valori, porta molti di noi in una discesa non facile da risalire.
    Non possiamo vendere sogni ma non possiamo fare a meno di sognare.
    Almeno questo lasciatecelo!

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